
Luca Meroi
IcoNYca
IcoNYca
“E alla fine era solo questo che chiedeva alle cose: di non sentirsi in nessun luogo. New York era il nessun luogo che si era costruito attorno, ed era sicuro di non volerlo lasciare mai più”
Paul Auster, Città di Vetro in Trilogia di New York
Paul Auster, Città di Vetro in Trilogia di New York
New York è nella mente di tutti: un immaginario stratificato risultato di molteplici esperienze indirette. La sua iconografia è conosciuta, parla un linguaggio di segni e oggetti che non hanno bisogno, quasi mai, di mediazioni. Perché tutti, in fondo ci siamo stati: ci hanno portato lì film, notiziari, riviste, canzoni, testimonianze, pubblicità.
NY è iconica: le stelle e strisce, Marylin, il ponte di Brooklyn, Wall Street, i grattacieli, le scale antincendio, i brand multinazionali. Rimandi ci conducono in un mondo familiare che ci tranquillizza perché sembra appartenerci.
Fotografarla può significare quindi riprodurre il già visto, che si può scegliere, volutamente, di enfatizzare.
Le immagini cult di una New York che sembra senza tempo definito sono raffigurate in una sequenza di scatti verticali – verticale è l’architettura di Manhattan – con poche presenze, a cominciare da quella umana, solo intuita o riflessa, perché quando sul marciapiede cogliamo il nostro riflesso nelle vetrine, vediamo noi stessi nella città, una città che ci conosce meglio di chiunque altro, perché ci ha visto quando eravamo soli.
Dalla solitudine della bandiera, unico segno di colore, in uno spazio ghiaioso e grigio si procede per aggiunte progressive: anche una sola macchina, poi la luce, un’insegna, per arrivare a una Times Square riconoscibile e cristallizzata nel suo aspetto mito-consumo.
Ci seduce, sostituendo le immagini all’immaginario. Si ricompongono le tessere del mosaico, dove si mescolano illusione e menzogna, creatività e miseria, regalando a ciascuno il proprio sogno americano.
NY è iconica: le stelle e strisce, Marylin, il ponte di Brooklyn, Wall Street, i grattacieli, le scale antincendio, i brand multinazionali. Rimandi ci conducono in un mondo familiare che ci tranquillizza perché sembra appartenerci.
Fotografarla può significare quindi riprodurre il già visto, che si può scegliere, volutamente, di enfatizzare.
Le immagini cult di una New York che sembra senza tempo definito sono raffigurate in una sequenza di scatti verticali – verticale è l’architettura di Manhattan – con poche presenze, a cominciare da quella umana, solo intuita o riflessa, perché quando sul marciapiede cogliamo il nostro riflesso nelle vetrine, vediamo noi stessi nella città, una città che ci conosce meglio di chiunque altro, perché ci ha visto quando eravamo soli.
Dalla solitudine della bandiera, unico segno di colore, in uno spazio ghiaioso e grigio si procede per aggiunte progressive: anche una sola macchina, poi la luce, un’insegna, per arrivare a una Times Square riconoscibile e cristallizzata nel suo aspetto mito-consumo.
Ci seduce, sostituendo le immagini all’immaginario. Si ricompongono le tessere del mosaico, dove si mescolano illusione e menzogna, creatività e miseria, regalando a ciascuno il proprio sogno americano.