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La Stazione

Il clima che si respira in una stazione ferroviaria e’ da sempre unico, irripetibile, inimitabile, per una serie di motivi che non e’ facile cogliere ma che traggono la loro ragion d’essere nel particolare contesto ambientale e sociale che in essa si viene a creare. Sin da quando esse nacquero con lo sviluppo delle reti ferroviarie europee prima e americane poi, si presentarono spesso come un secondo polo di importanza urbanistica delle grandi città e delle grandi capitali, a testimonianza dello spessore e dei contenuti architettonici che molte di esse hanno evidenziato sin dal loro primo apparire: i volumi, gli spazi, l’imponenza di questi manufatti sono sempre riusciti a catturare  l’attenzione   di qualunque visitatore, attento  o disattento, quasi possedessero il dono innato di sapersi  offrire come autentiche cattedrali, veri e propri templi in cui quasi sempre si consuma il rituale dell’attesa, della partenza , dell’arrivo , di emozioni quasi sempre legate al fenomeno del cambiamento, della sorpresa, dell’abbandono, dell’addio: fratture esistenziali che un mezzo di trasporto come il treno provoca spesso nella vita di un uomo. Anche nelle più piccole e dimesse stazioncine di campagna nonostante le dimensioni più raccolte, l’atmosfera è sempre improntata al senso dinamico della vita,
all’insegna dell'attesa di qualcosa o di qualcuno che non conosci ma che comunque ti aspetti, di qualcosa che potrebbe comunque significare un cambiamento importante nella tua vita e nel tuo destino.  Diversamente dagli aeroporti, più ordinati, più tecnologici, più cinici e ipocriti, nelle stazioni si respira un clima da vero alveare umano, sempre brulicante di creature che entrano ed escono, si arrangiano , si arrabattano per inserirsi comunque sui binari di un destino che prima o poi passerà o partirò. Ma lo spazio di una stazione e’ anche la cornice ideale per momenti di riflessione che altrove sembrano quasi impossibili: pochi luoghi come questo ti mettono nella condizione di pensare  o immaginare in pochi istanti al destino o alla vita di cosi tante persone sconosciute che tu improvvisamente senti più vicine a te: in quell’istante ti domandi da quale mondo esse vengano, quali abitudini portino con se da farle sembrare magari cosi diverse da te, quasi bastasse l’elemento spaziale a giustificare la differenza che credi possa esistere fra te e loro, ma che poi rimane solo il frutto di un bisogno della fantasia di conoscere ambienti che mancano ancora nel tuo archivio di vita.
Improvvisamente quel brulicare di persone ti mette d’incanto nella condizione di poter immaginare o addirittura vivere in prima persona con una più grande fetta di mondo intorno a te, come se in quel momento per autentica magia orizzonti finora sconosciuti si aprissero di colpo davanti ai tuoi occhi, quasi una sorta di miraggio fantastico capace di consumarsi in uno spazio piccolo e limitato!
Ma poi ti accorgi che questa ubriacatura non dura a lungo, essa semmai cede il passo al fatto che ognuna di queste creature per una logica che ti sfugge e’ destinata a non disperdersi nei meandri del caos bensì incanalarsi in destini che prima o poi prepareranno i presupposti esistenziali per vite non ancora completamente vissute. Come recita un vecchio adagio “Il treno della vita passa una volta, al massimo due”, mostra spesso grossi limiti: se soltanto decidessimo di aprire le nostre gallerie interiori a un maggior ventaglio di messaggi ben presto ci accorgeremmo di quanto una stazione finisca in pochi istanti per assomigliare proprio al teatro della nostra esistenza, considerata e vissuta nella sua dimensione più viva.

Luciano Pozzi

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