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Obiettivo Cemento 2006

…dalla più remota Pagoda alla Cattedrale di Colonia
l’architettura è stata la  grande scrittura dell’umanità,
e ciò è talmente vero che non solo ogni simbolo,
ma ogni pensiero umano ha la sua pagina
in questo immenso
libro di monumenti

 Victor  Hugo

Architettura oggi e sempre

L'architettura è l'arte attraverso cui poter realizzare mediante mezzi costruttivi spazi funzionali destinati alle necessità del genere umano al fine di soddisfare esigenze non solo abitative della collettività e dei singoli individui.
La spinta a costruire, consequenziale al bisogno naturale e primario di trovare un riparo alle proprie necessità si misura con una serie di problematiche che rappresentano la materia quotidiana del lavoro dell'architetto. E' indubbia la impossibilità a progettare qualsiasi opera senza adeguate valutazioni circa il problema dello spazio inteso sia in rapporto alla situazione geografica, al clima, ai materiali a disposizione, sia come organizzazione degli spazi interni o esterni alla costruzione.
Tutto ciò deve ovviamente tener conto della stratificazione esistenziale che quell'ambiente sociale destinatario dell'opera reca nelle tracce del suo passato.
Cosiccome rilevante è l'importanza di una tecnica costruttiva che varia nei secoli a seconda dei materiali e della loro capacità di sfruttamento. Lo stile di un'opera è il diretto risultato del contesto storico, delle tendenze artistiche e culturali dell'epoca. Tutto ciò contribuisce a creare un linguaggio architettonico, che sta all'edificio come la letteratura sta alla singola opera scritta.

Cenni storici

Il Friuli nel periodo antecedente al 1976 si presentava distinto in due contrapposte realtà, l’una legata alla tradizione, l’altra proiettata verso il progresso.
Anche il territorio era caratterizzato da tale condizione, l’area montana e pedemontana, più povere erano legate ancora ad una situazione economica prevalentemente agricola scevra da innovazioni e risorse, mentre la pianura e la zona collinare erano proiettate verso l’innovazione tecnologica e l’industrializzazione.
Ricordiamo che era presente ancora il fenomeno dell’emigrazione, anche se non così massiccio come negli anni cinquanta – sessanta.
Il patrimonio edilizio dei borghi rurali e dei centri storici era perlopiù vetusto ed obsoleto, anche a causa dell’abbandono di numerosi fabbricati da parte degli emigranti.
Diversa invece era la situazione che si presentava nelle immediate periferie degli stessi, lungo gli assi viari, e vicino ai centri economici ed industriali, dove le nuove costruzioni venivano erette con soluzioni moderne e con materiali che garantivano sicuramente maggior solidità e sicurezza.
I terremoti del 1976 si portarono via, oltre alle quasi mille vittime, anche gran parte delle costruzioni più antiche, cancellando definitivamente interi centri storici e innumerevoli monumenti, opere pubbliche ed arte di inestimabile valore.
I comuni colpiti dal sisma furono centottantasette, con diciottomila case distrutte e settantacinquemila danneggiate, centomila furono le persone senza tetto.
Nonostante le innumerevoli difficoltà la popolazione volle ricostruire le proprie case “dov’erano e com’erano” rifiutando l’idea di costruire nuovi paesi in siti diversi da quelli esistenti, com’era già stato fatto per il Vajont o il Belice.
L’intenzione non era solo quella di riedificare unicamente le opere murarie ma anche di mantenere intatto il tessuto sociale, vennero perciò edificati trecentocinquanta villaggi prefabbricati, attrezzati e completi di tutte le opere di urbanizzazione per accogliere settantaduemila persone, dove la vita della comunità poteva in qualche modo “proseguire” nell’attesa della ricostruzione; nel contempo venivano subito ricostruite e riprese le attività economiche, in modo da evitare una nuova emigrazione o più propriamente un vero esodo.
La Regione e gli Enti Locali furono delegati da leggi speciali ad amministrare i finanziamenti statali e privati giunti da tutto il mondo, vennero stabilite delle priorità nella ricostruzione, lasciando per ultime le opere pubbliche come Chiese e Municipi, con precedenza alle case ed alle attività produttive, dando la possibilità di usufruire di finanziamenti specifici anche ai tanti proprietari emigrati all’estero, facendo sì che molti di loro rientrassero definitivamente nella propria terra d’origine.
I vecchi tracciati viari, le strade, le piazze, le corti, diventarono capisaldi per l’opera di ricostruzione, fungendo da punti fermi per i relativi progetti, molte furono le opere restaurate e perfino ricostruite pietra su pietra come prima, ma anche l’Architettura Contemporanea ebbe modo di esprimersi portando nuove idee e nuove soluzioni per alleviare le situazioni venutesi a creare.
Il risultato fu una ricostruzione in alcuni casi fedele al passato o comunque tale da individuarvi alcune zone, in particolare borghi e centri storici, simili a ciò che esisteva prima della distruzione. Nel frattempo si vennero a creare, o comunque si ampliarono le periferie, le aree abitative lungo gli assi viari e vicino ai centri economici ed industriali, con un allargamento e un rinnovamento delle perimetrie dei centri abitati con la creazione di siti residenziali nuovi, di rilevanza sociale ed economica sempre maggiore.

L'occhio dell'osservatore

Il moderno fotografo è un grande veicolo pubblicitario per l'architetto e per tutti i suoi lavori di architettura.
Quasi tutti i giudizi su queste opere partono dal messaggio che proviene soprattutto dalle immagini fotografiche.
Nello sviluppo di un opera il compito dell'architetto è quello di immaginarla, teorizzarla per poi riempirla con la sua realizzazione.
Il fotografo di architettura invece guarda e sceglie una parte dell'opera o l'intera opera per preparare il terreno ad un suo lavoro di interpretazione, che parte dalla mente, passa attraverso la sua retina e si conclude attraverso l’apparecchio fotografico.
Ma il percorso della fotografia in questa materia non è stato per niente facile: dapprincipio è stato quanto mai difficile da parte di tutto il mondo dell'architettura moderna accettare che il fotografo fosse il tramite principale di tutto questo lavoro di comunicazione e divulgazione.
Oggi il fotografo di architettura assume un ruolo preminente di critico dell'immagine dato che egli può presentarsi non solo come semplice ripropositore dell'immagine ma anche come autentico interprete.
Un serio gap esiste tuttavia fra quei fotografi che si limitano a fare semplice documentazione fotografica e coloro che usano le loro abilità in fatto di conoscenze e intuizioni in una direzione già diversamente creativa... in effetti la fotografia è un modo per guardare al meglio ciò che si vuole ricordare!
Nel momento in cui l'atto di osservare si realizza attraverso la maggior concentrazione possibile da parte del fotografo con la sua fotocamera, in quel preciso istante si realizza il maggior risultato possibile in fatto di testimonianza al presente e al futuro di un possibile capolavoro da destinarsi eventualmente all'attenzione della storia.
Vieppiù: l'opera del fotografo non è di semplice testimonianza generale ma anche quello di fare emergere nascoste e latenti qualità stilistiche intrinseche all'opera medesima.
"Il fotografo non può riarrangiare il suo materiale intorno a se stesso" come LEWIS CARROLL scrisse nel 1934, "Il fotografo deve prendere il mondo come lui lo trova". Queste dichiarazioni risalgono al periodo in cui la fotografia ancora cercava di lottare al fine di identificare se stessa davanti all'arte come una forma di arte legittimata.
Ma tanté che tutto lo sviluppo del recente passato in fotografia permette a quest'ultima di rivendicarsi il diritto ad  una piena e autentica interpretazione soggettiva.
Le immagini riprese in questo lavoro non mirano certo a soddisfare le esigenze spicciole o decantative dell'opera di un architetto o di un gruppo di architetti: esse forniscono al fotografo l'occasione per riconoscere e porre in essere una sua forma di espressione personale, prevalentemente figurativa ma anche protesa alla individuazione di forme e cromatismi destinati a cogliere e celebrare l'esistenza di dimensioni persino distanti dalla realtà.
Il fotografo d'altronde seleziona, analizza e valuta ciò che vede, mira con il suo obiettivo e poi focalizza, o più semplicemente si potrebbe generalizzare il concetto secondo cui il fotografo nella sua identità è "l'espressione di un occhio umano" quasi a voler riaffermare parametri spiccatamente umani (forse umanistici) di tutta l'operazione.
Questo aspetto emozionale del fenomeno non è affatto retorico, dal momento che, a corollario della visione e dell'analisi dell'opera si innesta immancabilmente un bisogno di intuire, immaginare e magari sognare da parte dell'osservatore, a testimonianza del fatto che egli stesso prima ancora che osservatore risulta comunque potenziale fruitore e destinatario di quelle opere: reminiscenze storiche del passato, ricordi di storia dell'arte, effetto delle luci e delle ombre, ruolo delle geometrie: tutto contribuisce a far decollare la mente in un universo già visto ma al tempo stesso da riscoprire in un ottica completamente nuova.
Cosicché lo sconfinamento in una dimensione quasi onirica sembra persino idoneo a favorire un bisogno di fuga dai canoni rigidi della realtà quotidiana attraverso il raggiungimento di un utopia esistenziale, ottenibile sia con il pensiero che con lo stesso ribaltamento di geometrie e spazi durante la composizione stessa dell'immagine.
Tuttavia, fatto salvo questo bisogno di sconfinamento dalla realtà risulta estremamente limitativo considerare l'architettura, sia pur con tutte le implicazioni socioculturali più o meno implicite nel giudizio estetico soltanto come immagine pura e semplice. Per comprendere le dinamiche che hanno portato alla realizzazione di certe opere non ci si può comunque limitare ad analizzarne gli aspetti figurativi, geometrici o astratti, peraltro importantissimi. Occorre prendere in considerazione le molteplici componenti tecnologiche, funzionali, economiche e politiche.
L'opera architettonica ha uno scopo pratico preponderante rispetto a qualsiasi altro suo valore in quanto deve servire all'uso specifico cui è destinato. Ogni manufatto è legato alle sue finalità, che derivano dall'uomo e dalla necessità di modificare l'ambiente in cui vive per adattarlo alle sue esigenze. L'architettura è perciò espressione dei nostri desideri, dei nostri bisogni, delle nostre speranze, delle paure della nostra stessa vita quotidiana di cui costituisce l'involucro prezioso.
Date le scelte che vengono compiute in ogni ambito l'architettura è quasi sempre espressione del potere economico e politico di un sistema, potere dal quale l'architetto non può prescindere per svolgere il suo lavoro.
Tuttavia l’architettura non è da interpretarsi come momento di espressione subalterna non fosse altro per tutti quei parametri tecnologici e funzionali che la difendono rendendola inespugnabile. I limiti operativi e tutte le possibili restrizioni non mortificano l'opera dell'architetto, anzi la stimolano. Nonostante i vincoli cui è soggetta, l'architettura resta pur sempre capace di diventare pura espressione artistica, quando riesce a trascendere e sintetizzare le complesse cause che la motivano. L'evoluzione delle forme e delle linee architettoniche è legata alla evoluzione delle forme del vivere sociale che, sia pur con modalità diverse sono più o meno comuni alla storia dei popoli. E' proprio in questa dimensione che il ruolo dell'architetto e del fotografo si integrano come testimoni di epoche, come testimoni di Civiltà.

Siti architettonici valutati: criteri di scelta

Gli eventi immediatamente successivi al terremoto crearono un clima di devastazione e di rovina in tutte le zone attraversate dal sisma. Si resero necessari sin dall'inizio provvedimenti atti a rimettere quelle popolazioni nella condizione di potersi garantire al più presto quelle sistemazioni di fortuna capaci di permettere di giungere in tempi successivi all'ottenimento di strutture abitative definitive. Tutto ciò, realizzandosi poi in tempi ragionevolmente brevi avrebbe creato i presupposti per la creazione di strutture consequenziali come i servizi pubblici.
Questo lavoro ha voluto rivolgere la sua attenzione preferenziale proprio nei confronti di tali opere per una serie di motivazioni qui elencate:
1) L'edilizia abitativa privata non ci è sembrata elemento di riferimento primario proprio perché soggetta a valutazioni opinabili in quanto riconducibili a criteri spesso condizionati da esigenze di tempo, di metodo o di scelta operate da progettisti o dai vari destinatari a seconda di gusti stilistici o disponibilità finanziarie.
Risultava inoltre opera difficoltosa la realizzazione di un censimento di quegli stessi siti al fine di ottenere un libero accesso da parte di privati non sempre facilmente contattabili.
2) Nel Secolo che ci ha preceduti è affiorata sempre più una proiezione del genere umano verso una macrodimensione sociale in cui si è progressivamente fatta largo l'idea di un uomo che potesse adattarsi a qualsiasi tipo di relazioni. Questo dato non poteva non riflettersi nelle espressioni della cultura architettonica e nelle proiezioni realizzative del Movimento Moderno dei primi decenni del secolo: sin dai primi esempi si capi come la casa potesse diventare quasi un elemento di rifugio per esigenze primordiali dell'individuo.
Contemporaneamente si è sviluppata tutta una serie di nuove strutture urbane adatte a favorire la dimensione della macrosocialità: stadi, mense, luoghi di intrattenimento collettivo, edifici che in passato non mancavano ma che in questo periodo hanno cominciato ad assumere un ruolo prioritario.
Tutto ciò, tipico di un assetto architettonico e urbanistico occidentale si differenzia in modo netto dalle caratteristiche progettuali del mondo islamico, dove tradizionalmente i momenti di carattere pubblico si riducono essenzialmente a quello religioso e a quello delle relazioni di tipo commerciale: i punti di riferimento importanti della città islamica sono infatti la Moschea e il Bazaar dove si integrano le attività commerciali e quelle di relazione.
Anche per il Friuli sempre più proiettato verso le logiche della Globalizzazione il rapporto sociale si è andato via via proiettando verso una maggior varietà di spazi per la vita di relazione: oltre a quelli commerciali e religiosi non si dimentichino quelli sportivi, politici, centri commerciali ecc, fatto salvo il concetto per il quale le attività lavorative tendono a svilupparsi e protrarsi senza criteri fissi mentre gli stessi standard di vita giornaliera risultano più che mai allineati verso un sistema economico e di costume fondato su un'economia di mercato e largamente condizionato dalla logica del consumismo.
3) Come è noto l'evento sismico del 6 maggio 1976 è costato a queste popolazioni un tributo di sofferenze indicibili ma soprattutto perdite umane.
Le energie profuse per la ricostruzione del territorio e soprattutto per la rinascita del tessuto sociale sono state enormi. Anche se gli aiuti giunti dallo Stato Centrale e da molte parti del mondo sono stati significativi la ferita lasciata nell'animo e nello spirito dei friulani impiegherà forse altro tempo per rimarginarsi: è però vero che l'orgoglio e la voglia di rinascere a nuova vita e a nuova dimensione sono stati evidenti subito; tutto ciò non poteva non trovare una sua legittima consacrazione nella realizzazione di opere prettamente a sfondo sociale destinate ad offrire al tempo e alla memoria la testimonianza piena di quanto di meglio si potesse o volesse fare come risposta al dolore subito.
Anche in questa direzione ha voluto muoversi l'analisi fotografica di questo lavoro.
Tuttavia è sempre la ricerca di un'immagine veramente interpretativa e partecipativa a voler rappresentare l'architrave di sostegno a tutta l'opera.
E' per questo motivo che la scelta delle opere non è avvenuta sulla base di criteri esclusivamente tecnici o Tecnicistici, bensi secondo il fondamentale Occhio dell'Osservatore che attraverso un fotogramma riesce a bloccare in un solo attimo le emozioni, le sensazioni, gli stati d'animo che la visione dell'opera suscita in lui.
I manufatti sono stati scelti insomma sulla base di un impatto sociale ed emotivo veramente profondo, a testimonianza di un percorso evolutivo di tipo sociale, ambientale, economico, politico e filosofico che ha segnato il percorso di una popolazione.
Cosiccome rilevante è stata la consapevolezza che noi stessi abitanti del territorio siamo i destinatari obbligati di quelle opere, a testimonianza di una trasformazione epocale che ha coinvolto un territorio che fino a venti anni fa pareva destinato a semplice zona di frontiera o confine tra blocchi: se prima vi era una zona di confine politico -strategico ora questa stessa zona è un'inequivocabile trade union fra realtà geografiche destinate a fondersi.
Tuttavia al di la di queste considerazioni uno fra i motori più protagonisti in seno a questo lavoro è stato il bisogno di lasciarsi prendere per mano da un'estasi di tipo emozionale capace di farci sognare e trasportare in una dimensione ancora da scoprire, quasi rivelatrice di una realtà della quale non eravamo ancora testimoni.
Proprio per tale motivo sono stati considerati come prioritari quei manufatti che avrebbero dovuto rappresentare per il Friuli l'espressione di un pericolo ormai superato, l'opportunità di un decollo di immagine destinata a livelli mai vissuti prima d'ora in ambito nazionale.
Tutto ciò come inequivocabile testimonianza di una esperienza di orgoglio e sacrificio patita da una popolazione non nuova storicamente a sciagure o vessazioni di ogni natura.
Doveva essere insomma occasione e motivo di celebrazione di un risultato voluto e perseguito con volontà stoica e raggiunto attraverso l'appoggio di tutta la nazione e considerato ancora da molti opinionisti come autentico "modello da primato ".

Manus

Se la fotografia fosse la poesia, queste immagini racconterebbero parole dolcissime e suadenti, mormorerebbero antichi privilegi che solo l'essere Umano sa cogliere, ricordare e tradurre in immagine, sussurrebbero la gioia dell'Architettura, ovvero la grande potenza progettuale dell'uomo-ragione che organizza gli spazi, li determina, li fa essere spazio nella dimensione del tempo e oltre il tempo.
Questo perché le immagini di Pozzi, De Simon, D'Aurizio, cantano, progettano, raccontano, sottointendono, affermano e negano, inventano, ma soprattutto inventano, in quel tentativo che essi stessi preannuciano, non di documentare ma di interpretare, dunque di inventare.
Una poetica della linea e del colore, una sottile poesia fatta di accenni, mai celebrativa ma evocativa dell'epopea dell'uomo.
E se l'epopea dell'uomo è sempre una chiave di lettura generale, spesso nella sua universalità proiettata a definizioni di ritmi e di pause, ecco allora apparire come una sorta di sottotitolo a questo lavoro l'epopea del Friuli, la sua ricostruzione e la sua trasformazione costruttiva, da trent’anni fa, all'oggi di una ricostruzione ormai avvenuta e all'insegna di una globalità gestuale e cromatica oltre che sociale.
Erroneamente si potrebbe credere che il protagonista di ogni struttura sia il calcestruzzo, ma è un errore in quanto l'asse primordiale del pensiero rimane sempre e soltanto l'uomo con tutta la sua carica inventiva, tecnica, spirituale, in una parola umanistica: non a caso la presenza dell'uomo, sottaciuta nelle immagini, appare prorompente e vasta come il pensiero che sorregge l' Umanità.
E la presenza umana, sottaciuta nelle immagini, appare prorompente e vasta come il pensiero che sorregge l'umanità, così come il percorso seguito dagli autori, da Tarvisio e Osoppo al mare di Bibione, giustamente inclusa perché città del Friuli Storico, si esprime in un itinerario dalla materia alla mente, perché questo appare in tutto il suo profilo: un filo doppio che collega pensiero e materia e viceversa.
I luoghi dell'abitare, i siti ripresi sono quanto di più sublime e illuminato abbia potuto illuminare l'io razionale, l'intelligenza architettonica ed anche la manualità operaia. E queste immagini raccontano proprio l'intelligenza architettonica ma anche la manualità operaia, raccontano l'intelligenza del progettista ma restituiscono anche l'onore all'umiltà manuale operaia, siglando e sottolineando l'evoluzione storico-epocale del Friuli passato da terra contadina a terra operativa di industria e di produzione.
La tensione narrativa di queste immagini ha nel suo animo qualcosa di Muscolare, autenticamente di operaio, possiede le caratteristiche dell'umiltà ma anche la consapevolezza dell'essere sintesi e analisi al tempo stesso.
E questo aspetto merita una doverosa sottolineatura. Perché la cultura solitamente rappresenta il senso della sintesi e della analisi cosiccome nella letteratura la poesia è sintesi e la prosa analisi. Nell'arte l'astrattismo è sintesi mentre il figurativo tradizionale è analisi.
In questa poesia visiva esplodono entrambe queste caratterizzazioni, il senso proprio della sintesi, della velocità esecutiva e dell'ausilio tecnologico, ma al tempo stesso l'analisi intesa come studio della percezione dell'immagine, la concretezza dell'immagine stessa che al di la della figuralità rimane la rappresentazione di ciò che esiste sul territorio con un suo peso, un suo spessore, il frutto comunque inevitabile di un calcolo, di un progetto. Potenza espressiva, ma misurata e paziente ricerca, viaggio, itinerario, un andare paziente, quasi un pellegrinaggio attraverso i documenti del nostro tempo e gli interventi dell'uomo - ragione nella nostra storia.
Le realizzazioni architettoniche hanno una loro anima tesa in una narrazione verticale oppure orizzontale, i fotografi esaltano le verticalità esponendole a una sorta di ricerca dell'incommensurabile in altezza, ma dilatano all'infinito le orizzontalità come se i manufatti raccontati fossero un'estensione magmatica, materica e volumetrica, incalcolabile e solo parzialmente definibile, attraverso l'occhio che coglie una parte e sa ... una parte dell'incommensurabile umano.
Un sogno antico e immutabile si dipana poi nei cieli del Friuli, tutti colti in una sorta di linearità trasparente e immutabile, come se il cielo sopra le cose assistesse commosso e allo stesso tempo impassibile alla Grande Avventura Umana disegnata e progettata, ideata con il cervello ed eseguita con la mano.
I cieli comunicano la grandezza delle architetture che sotto di esse sono poste, offrono tagli sghimbesci di luci e di ombre, danno tono, spessore e dimensione, luce e fragore oggettuale alla rappresentazione.
Anche l'occhio di chi guarda queste immagini può raccogliere delle suggestioni singolari: può assumere ogni immagine e sintetizzarla sotto categorie geometriche, la categoria del cerchio, quasi il simbolo delle perfezioni, la categoria della rettangolarità, della triangolarità e a seguire l'immagine si fa sfera, cubo, parallelepipedo e piramide.
Ecco dunque che anche l'io-ragione che solamente guarda, l'io di colui che non ha ancora focalizzato l'opera né l'ha mai fotografata, diventa ugualmente protagonista di fantasia e sentimento e soprattutto si accorge di quel mondo di forme che esiste nel territorio e che per un irridente scherzo del destino forse non avrebbe mai osservato riducendo la propria osservazione ai soliti processi dell'abitudine.
E dunque le immagini, un coacervo di storia e di attualità, di tecnologia e umanità, scienza e sentimento palpitante, strabocchevole, da cuori liberi!!

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