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Immagine
Elio Ciol, fotografo dell'endecasillabo

di Emanuele Savasta

Ora vorrei presentarvi un mio personale e modestissimo modo di guardare le fotografie di Elio Ciol. Io definisco Elio Ciol fotografo dell’endecasillabo. Secondo la metrica italiana, l'endecasillabo è il verso nel quale l'accento principale si trova sulla decima sillaba metrica. Tra i versi della poesia italiana, è quello in cui le sedi degli accenti sono più varie. Tuttavia di norma gli endecasillabi presentano un accento fisso o sulla quarta o sulla sesta sede. Per questa sua duttilità l'endecasillabo è stato a lungo il verso prediletto dei poeti italiani, nonché il più utilizzato. È il metro principale della poesia italiana e si trova in tutte le formazioni più importanti, come la ballata, la canzone, il sonetto, l'ottava. Vi starete chiedendo ma cosa c’entra l’endecasillabo con la fotografia? E la domanda è pertinente e per niente stupida. Sono solito, durante le mie lezioni di fotografia, a volte anche per mio gusto personale, accostare la letteratura alla fotografia. In primo luogo perché amo la fotografia quanto la letteratura, e poi perché ritengo che essendo entrambe due scritture, una ad inchiostro e una a luce, accostarle a volte può servire a dipanare nodi difficili, a spiegare meglio un autore alla platea ma anche a se stessi. Ovviamente in entrambe le direzioni, dalla letteratura alla fotografia e dalla fotografia alla letteratura.


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Nel caso di Elio Ciol la forma letteraria che ho scelto è un metro utilizzato in poesia. Questa forma espressiva è stata il mio primo amore, forse la forma d’espressione con cui noi, esseri definiti sensibili ci confrontiamo, per raccontare al mondo noi stessi. Crescendo ho capito che la poesia non è facile come sembra e quindi, forse, non è la migliore scelta come mezzo espressivo, ma questa è un’altra storia. Perché Elio Ciol fotografo dell’endecasillabo? I poeti che sceglievano di scrivere in tal sorta dovevano, nella costruzione della loro componimento, fare un lavoro di scelta non da poco, prima di giungere alla composizione finale. Iniziando dal primo verso dovevano essere in grado di trovare le parole giuste nel vocabolario del cuore e poi in quello della lingua, dovevano addomesticare le pulsioni per giungere al giusto compromesso. Terminato il primo verso allo stesso modo dovevano costruire il secondo e metterlo in relazione al precedente (attraverso la rima) e pensare già al successivo. E’ chiaro che questo gioco di scelte non doveva pregiudicare il significato del componimento sia dal punto di vista concettuale che dal punto di vista estetico. Vi chiederete a questo punto ma cosa c’entra con questo la fotografia del maestro? Andiamo allora a scoprire questa prima analogia. Ogni fotografia del maestro Ciol risulta perfetta. Calibrata dall’inquadratura, al taglio, allo splendere delle luci al cadere delle ombre. Tutto sembra studiato in precedenza (attraverso la scelta il fotografo ha composto il suo primo verso). Le fotografie del maestro Ciol, non si esauriscono mai da sole. Sono già in se potenti mezzi di espressività ma Elio per scelta ha decisono di scrivere sempre attraverso più fotografie. Le intere sequenze fotografiche Ciolliane prendono la struttura del sono foto racconto (sulla scia di Luigi Crocenzi). Ogni immagine è costretta a relazionarsi con ciò che la segue e con ciò che la precede (come le rime in poesia).
Le analogie con la poesia dell’endecasillabo non finisco qui. Mi permetto di scomodare un poeta della corrente stilnovistica che del verso in questione ha fatto abilmente uso. Guido Cavalcanti in uno dei suoi sonetti più famosi dice:
 
Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,

Con quel “Voi” il poeta si riferisce ad una donna che per i poeti della corrente stilnovista avrà l'aspetto di un angelo. Questo essere di emanazione divina porta con se la capacità di migliorare il cuore dell'uomo e di disporlo alla virtù attraverso l’amore. Cavalcanti disegna nei versi citati, in maniera analitica, il percorso che l’amore impiega prima di giungere al cuore e riaccendere la fiamma d’amore prima assopita. Nella fotografia di Ciol non c’è nessuna donna è vero, ma quante volte la terra, la natura e il suo splendore sono state simboleggiate metaforicamente nel corpo di una donna? Il fotografo si trova così di fronte la “Dea Madre” che sprigiona tutto il suo amore. Amore che passa attraverso gli occhi (organo fondamentale per il fotografo) e giunge diritto al cuore.
Ora per gli stilnovisti la donna angelo è pura emanazione divina, è bellezza divina fatta donna ed a lei è giusto dedicar preghiere e poesie. Il maestro Ciol più volte si è ripetuto nel dire: “ciò che mi trovo davanti è riesco a immagazzinare su una pellicola non è altro ciò che Dio mi ha voluto far vedere, e che io sono pronto a donare a voi.
 
Sono pronto adesso a scomodare un ultimo poeta. Ci spostiamo nel 1300. Il suo nome è Francesco Petrarca che in uno dei suoi sonetti più famosi dice:
 
Solo e pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi e lenti,
 
Spesso mi è capitato di immaginare il maestro Ciol così. Solo, insieme al suo cavalletto e alla sua macchina fotografica, in giro per i sentieri delle campagne Friulane, immerso nel silenzio, alla ricerca dell’immagine di pura bellezza, di quella visiona donata da Signore. L’unica differenza che è possibile riscontrare tra il sonetto ed il modus operandi del fotografo sta nel fatto che la scelta del Petrarca è funzionale ad un allontanarsi dalla società e dall’uomo. Una ricerca di solitudine attraverso l’allottamento fisico dall’uomo, Nelle fotografie di Ciol avviene l’esatto opposto. Di primo acchito le fotografie del maestro sembrano cariche e rigonfie di solitudine e di silenzi sprigionati da ogni granulo d’argento. Ma se ci fermiamo un attimo ad osservare meglio, se ci addentriamo con lo sguardo per quei campi ecco allora che la verità può giungere ai nostri occhi e al nostro cuore. C’è nelle fotografie di Ciol la necessita di trovare l’uomo, perché Ciol ama l’uomo allo stesso modo di come ama la natura. Ama vederli insieme e collaborare in un giusto equilibrio. Nelle foto di Elio troveremo sempre un campo arato, dei gelsi tagliati o una vita intrecciata. Perché Uomo e natura hanno bisogno di convivenza. Per questo Elio oggi può essere considerato un fotografo moderno. Per questa sua attenzione alla ricerca dell’equilibrio tra uomo e ambiente. E in questa sua scelta, Ciol si dimostra oggi moderno. Oggi essere moderni significa essere ecologisti, credere nella parsimonia, nella convivenza non invadente e distruttiva dell’uomo con la natura. Oggi, coloro che, per motivi più o meno consapevoli, sono legati a questo modo di vivere sono da considerarsi all’avanguardia.
Concludo con le parole di Fabio Amodeo che arriva ad un’aggettivazione ancor più interessante, riguardante la situazione temporale del fotografo e delle sue fotografie, considerandole amoderne: «Ogni fotografia di Elio Ciol porta una data […] la dinastia di fotografi a cui appartiene conosce come regola di mestiere l’importanza della corretta archiviazione: soggetto, luogo dello scatto, data. È così che la fotografia diventa memoria rintracciabile, e a lungo andare deposito della memoria personale e collettiva. Ma per conoscere il tempo degli scatti di Ciol dobbiamo leggere la didascalia. Nelle immagini non ci sono elementi che possano concorrere a datare le fotografie. I soggetti rappresentati sono indifferenti alla data, all’ora o al periodo storico; il loro rapporto è semmai con la stagione, con l’ora del giorno e l’inclinazione della luce. In questo senso, possiamo definire Ciol un fotografo contadino. Le sue immagini non sono moderne; ma neppure antimoderne, o postmoderne. Sono amoderne: appartengono a un mondo dal respiro più lento, imparentato con la crescita degli alberi, non con i ritmi che ci sono abituali. Vivono un loro tempo.» «Chi guarda le sue immagini non può che entrare nel mondo amoderno, quello del tempo della crescita degli ulivi e del lento invecchiamento del vino e dei sedimenti dello spirito.»

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