SAN PAOLO PATRO'
folklore e devozione a Palazzolo Acreide
Fotografie di:
Ivano de Simon, Maurizio Ciancia, Daniela Roveretto, Dario Buttazzoni, Luciano Pozzi, Luca Meroi, Emanuele Savasta.
Ivano de Simon, Maurizio Ciancia, Daniela Roveretto, Dario Buttazzoni, Luciano Pozzi, Luca Meroi, Emanuele Savasta.
Inaugurazione venerdì 10 marzo 2017
Spazio Espositivo Make, Palazzo Manin, via Manin 6/A, Udine
Spazio Espositivo Make, Palazzo Manin, via Manin 6/A, Udine
"... e quannu nesci nesci San Paolo cu dda Spada,
trema Buscema, Bucchieri, Ferra, Cassaru e Palazzuolu..."
(G. Pitrè)
trema Buscema, Bucchieri, Ferra, Cassaru e Palazzuolu..."
(G. Pitrè)
Chi attraversa la Sicilia di piena estate, va inevitabilmente incontro a paesi ornati da arcate e trofei di lampade, a lunghe file di bancarelle e mercati imponenti di animali, a bande musicali, orchestre e cantanti, al rimbombo di mortaretti e di splendidi fuochi di artificio. È la grande estate siciliana che si spegne del suo sempre più raro verde frumento per riaccendersi dell’oro delle stoppie. È l’estate in cui ogni paese celebra in Sicilia la festa in onore del suo santo patrono. Il Giovanni Pitrè, letterato, filosofo e a antropologo del XVIII-XIX Secolo, nella sua pregevole opera dedicata alle feste patronali in Sicilia, riserva un capitolo alla “festa di San Paolo a Palazzolo Acreide. Una festa che vanta un’antica tradizione e popolarità, tanto da attirare tutt’oggi un’affluenza notevole di popolo. Il documento più antico che possediamo sulla festa di San Paolo a Palazzolo Acreide è del 1599, ma la festa è sicuramente più antica. Purtroppo non possediamo neanche una descrizione completa della festa del ‘600 o dei secoli successivi. A Palazzolo San Paolo non è semplicemente il Santo Patrono. San Paolo è considerato santo “specialista” guaritore del morso di serpi, scorpioni e tarantole, è santo miracoloso in grado di soddisfare ogni bisogno; è anche il santo che propizia il buon raccolto, non a caso la sua festa cade proprio nel periodo della mietitura. Le festività in onore del Santo durano tre giorni: dal 27 al 29 giugno. Il giorno 27 si tiene il pellegrinaggio in contrada "San Pauluzzu" e sul calar della sera l’accensione delle luminarie artistiche nel quartiere San Paolo. Il giorno 28, la vigilia, si tiene il tradizionale "Giro di Gala”, dove gli stendardi, le bandiere, un picchetto storico a cavallo e i "tammurinari"(tamburellisti), sfilano con la banda per le vie della città. A conclusione del giro “a sciuta ra cammira”, l'attesissima svelata della cinquecentesca statua del Patrono, che viene accolta dalle acclamazioni di giubilo dei devoti “E cchi siemu tutti muti Paulu di la vita Patronu” “viva San Paulu” “viva lu Gran Patronu”. Il giorno 29, giorno della festa del santo, prende vita una processione unica nel suo genere. Il tutto ha inizio con la benedizione e la distribuzione della “spiga di San Paulu” (Lavanda) e "U GIRO RO PANI".
Un piccolo carretto, viene trainato a mano per le vie del paese dai fedeli e raccoglie le tradizionali "cuddure" pani a forma di ciambella decorati con serpenti, che vengono poi benedetti e venduti nel sagrato della chiesa. Alle ore tredici in punto, in piena canicola, la maestosa e spettacolare “sciuta” della “vara”. Il simulacro del santo, preceduto da pregevoli stendardi ricamati in oro, viene portato fuori dalla chiesa barocca sull’artistico percolo ligneo intagliato e decorato in oro per percorre per lungo e per largo i dedali di stradine del paese inferiore. Il Santo viene accolto sul Sagrato dalle acclamazioni dei fedeli e da “nzareddi” (strisce di carta) colorati e spettacoli pirotecnici. Ancor oggi sono degli uomini con la spalla nuda, per voto fatto, che portano il pesante simulacro per le vie del paese. Le donne come forma di ex-voto seguono il simulacro a piedi scalzi fino al rientro della statua in Basilica. Durante la processione avviene l'antico rito della presentazione dei bimbi nudi al Santo. Gli infanti vengono issati al santo con le acclamazioni dei portatori. Spesso le donne e gli uomini rinnovano ogni anno “U viaggiu scausu” (viaggio scalzo), e “a spadda nura” (la spalla nuda) per poter così protrarre nel tempo la garanzia della salute e del benessere, la certezza di allontanare per sempre il male. Alcuni usi legati alla festività sono del tutto scomparsi: non si fa più, da almeno quarant’anni, quello che un padre cappuccino riferiva nella metà dell’ottocento: “lo strisciar delle lingue sul pavimento dalla porta della chiesa all’altar maggiore, dalla mattina al mezzodì, inoltre è del tutto scomparsa la processione dei “cereàuli”, uomini nati nella notte dal 24 al 25 gennaio (conversione di San Paolo), che hanno particolari virtù: essi domano e maneggiano serpenti e insetti velenosi. Conoscono scongiuri che vengono insegnati e tramandati nella notte di San Paolo, coi quali guariscono dai morsi di insetti e serpi velenosi. I “cereàuli”, inoltre, portano sotto la lingua un particolare contrassegno: quello di un ragno o di un qualsiasi insetto velenoso. I vari usi com’è evidente, scaturiscono da un humus che trova le sue motivazioni nell’antica civiltà contadina. La festa cade, infatti, all’inizio dell’estate e coincide col periodo della mietitura e della raccolta del grano, quando il contadino vive in tutta la sua estensione la sua crisi di sgomento. Il mietitore è minacciato dal pericolo sempre in agguato dal morso degli insetti velenosi, e avverte in modo drammatico il senso della sua precarietà esistenziale. Questi riti sono comuni all’Italia meridionale in genere, a un mondo che lentamente si muove. Nella puntuale ricerca svolta da Annabella Rossi sulle feste dei poveri, la studiosa ha messo in rilievo come in questi santuari o in questo tipo di manifestazioni la gente si reca e partecipa per “star meglio”. I pellegrini si recano in chiesa con offerte e doni o si adoperano in sforzi fisici, sperando di essere liberati da ogni male. Di ottenere grazie e favori e di trovare protezione e rassicurazione alla fragilità e precarietà del vivere.
Un piccolo carretto, viene trainato a mano per le vie del paese dai fedeli e raccoglie le tradizionali "cuddure" pani a forma di ciambella decorati con serpenti, che vengono poi benedetti e venduti nel sagrato della chiesa. Alle ore tredici in punto, in piena canicola, la maestosa e spettacolare “sciuta” della “vara”. Il simulacro del santo, preceduto da pregevoli stendardi ricamati in oro, viene portato fuori dalla chiesa barocca sull’artistico percolo ligneo intagliato e decorato in oro per percorre per lungo e per largo i dedali di stradine del paese inferiore. Il Santo viene accolto sul Sagrato dalle acclamazioni dei fedeli e da “nzareddi” (strisce di carta) colorati e spettacoli pirotecnici. Ancor oggi sono degli uomini con la spalla nuda, per voto fatto, che portano il pesante simulacro per le vie del paese. Le donne come forma di ex-voto seguono il simulacro a piedi scalzi fino al rientro della statua in Basilica. Durante la processione avviene l'antico rito della presentazione dei bimbi nudi al Santo. Gli infanti vengono issati al santo con le acclamazioni dei portatori. Spesso le donne e gli uomini rinnovano ogni anno “U viaggiu scausu” (viaggio scalzo), e “a spadda nura” (la spalla nuda) per poter così protrarre nel tempo la garanzia della salute e del benessere, la certezza di allontanare per sempre il male. Alcuni usi legati alla festività sono del tutto scomparsi: non si fa più, da almeno quarant’anni, quello che un padre cappuccino riferiva nella metà dell’ottocento: “lo strisciar delle lingue sul pavimento dalla porta della chiesa all’altar maggiore, dalla mattina al mezzodì, inoltre è del tutto scomparsa la processione dei “cereàuli”, uomini nati nella notte dal 24 al 25 gennaio (conversione di San Paolo), che hanno particolari virtù: essi domano e maneggiano serpenti e insetti velenosi. Conoscono scongiuri che vengono insegnati e tramandati nella notte di San Paolo, coi quali guariscono dai morsi di insetti e serpi velenosi. I “cereàuli”, inoltre, portano sotto la lingua un particolare contrassegno: quello di un ragno o di un qualsiasi insetto velenoso. I vari usi com’è evidente, scaturiscono da un humus che trova le sue motivazioni nell’antica civiltà contadina. La festa cade, infatti, all’inizio dell’estate e coincide col periodo della mietitura e della raccolta del grano, quando il contadino vive in tutta la sua estensione la sua crisi di sgomento. Il mietitore è minacciato dal pericolo sempre in agguato dal morso degli insetti velenosi, e avverte in modo drammatico il senso della sua precarietà esistenziale. Questi riti sono comuni all’Italia meridionale in genere, a un mondo che lentamente si muove. Nella puntuale ricerca svolta da Annabella Rossi sulle feste dei poveri, la studiosa ha messo in rilievo come in questi santuari o in questo tipo di manifestazioni la gente si reca e partecipa per “star meglio”. I pellegrini si recano in chiesa con offerte e doni o si adoperano in sforzi fisici, sperando di essere liberati da ogni male. Di ottenere grazie e favori e di trovare protezione e rassicurazione alla fragilità e precarietà del vivere.
Emanuele Savasta
(Riadattamento della “la festa di San Paolo” raccontata da Antonino Uccello)
(Riadattamento della “la festa di San Paolo” raccontata da Antonino Uccello)