SAFAU – SEGNALI D’ACCIAIO

FOTOGRAFIE DI UNA VECCHIA FERRIERA UDINESE

 

UN CANTASTORIE CON LA TUTA BLU

Non è uno spirito qualunque!
Non indossa le classiche vesti bianche delle fiabe romantiche, ma la, tuta blu. Non corre lungo le scale e i corridoi di un antico castello, ma tra le temprate strutture di una fabbrica.
Lo spirito guardiano della vecchia ferriera ha, comunque, sempre fatto il suo dovere.
Nel passato, come il genius loci delle sacre credenze degli antichi, ha dato vita al luogo, assistendolo dalla nascita alla morte e definendone il carattere. Oggigiorno preserva l’essenza di ciò che è stato, che è vissuto e che è passato. Come la roccia che custodisce il fossile, lo spirito protegge il luogo e, per far sì che non deperisca, lo conserva in un invisibile sarcofago dove il tempo rimane ibernato.
Tutto ciò può apparire troppo fantastico ma chi si addentra fra i corpulenti e oscuri edifici dell’acciaieria SAFAU avverte la disorientante sensazione di percorrere la quarta dimensione: lo spazio temporale.
Durante questo magico viaggio, diventa quasi naturale sentirsi accompagnati da una presenza che invita a cogliere le caratteristiche di un ambiente mitico, mistico e leggendario, caricato di significati storici e immaginari. Dove il passato ristagna nel presente e il futuro non esiste. E dove il visitatore, non trovando la strada del domani, medita. Assapora il momento del vivere e si ferma ad ascoltare le voci dello spirito del luogo: voci che nascono dalla visione.
I muri scuri, anneriti da polvere di ferro e da fuliggine, le ampie volte sorrette da poderose capriate metalliche; la “Grande Ciminiera”, il “Forno Martin”; i grandi ingranaggi d’acciaio ancora sporchi di grasso; la vecchia falegnameria: tutto sembra voler parlare per poter raccontare chissà quali storie.

Una fotografia è insieme una pseudopresenza e l’indicazione di una assenza. Come un caminetto a legna in una stanza, le fotografie -soprattutto quelle di persone o luoghi lontani, di città remote, di un passato svanito – sono incitamenti al fantasticare».
E l’oggetto fotografia produce anche una straordinaria dilatazione del tempo. Attraverso il procedimento fotografico, l’istante, conservato e congelato, diventa visione eterna e non corre più il pericolo di essere cancellato da successive immagini. Lo spettatore sa che tutto rimarrà, per sempre, intatto. Sa che potrà analizzare un fotogramma del passato in un presente che si prolungherà a seconda della sua curiosità.
Ma bisogna stare attenti a non cadere nell’illusione che la fotografia possa essere l’incontaminato specchio della realtà.
Ogni fotografia nasce dal rapporto fra quanto sta dentro, o dietro, il fotografo e ciò che si espone davanti ai suoi occhi.
Come attraverso la sinopia del disegnatore, il negativo rivela le immagini degli oggetti seguendo le tracce incise nell’anima del suo ideatore, in una sovrapposizione che crea l’unicità della visione. E restituendo, così, realtà diverse filtrate da occhi diversi.
Conscio di tutto ciò, un gruppo di esploratori del Circolo Fotografico Friulano ha intrapreso un viaggio attraverso lo stabilimento della vecchia ferriera SAFAU. Ognuno ha cercato di raccogliere le verità raccontate dalle cose e, tramite la fotografia, di amplificarne la conoscenza.
Questo rilevamento, iniziato nel 1986, cinque anni dopo la chiusura della vecchia acciaieria, non parte seguendo un progetto e un metodo operativo ben definito. I’idea principale consiste nel lasciare che l’impatto emozionale suggerito dal luogo e, perché no, dal suo spirito, conduca alla creazione di immagini svincolate da esigenze documentaristiche. Dopo i primi sopralluoghi e dopo aver analizzato le immagini prodotte, i fotografi che hanno partecipato a questa esperienza hanno verificato l’esigenza di definire un percorso plausibile e completo, con una leggibile collocazione territoriale.
In una seconda fase, infatti, sono state realizzate delle fotografie che hanno permesso di completare questo romanzo visivo, raccordando le spirituali visioni create dal tempo con i concreti segnali dello spazio. 

Forse, le immagini di questo libro non costituiscono un vero e proprio rilievo sull’archeologia industriale. Ma vogliono essere, soprattutto, un archivio della memoria. Una specie di album di famiglia.
Anche perché i luoghi del passato, abbandonati e dimenticati, come la vecchia SAFAU, fanno parte di noi: sono figli del nostro esistere. 

 

Franco Martelli Rossi
Giugno 1995

 

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