LUCA MEROI

Attratto dalle opere di Man Ray, nei primi anni novanta si iscrive per la prima volta al CFF, dove segue un corso di camera oscura tenuto da Stefano Tubaro. Dopo una pausa dovuta a impegni lavorativi, ricomincia a contribuire alle attività del circolo nei primi anni duemilaedieci, quando entra in pianta stabile nel suo direttivo.
È presidente CFF nel biennio 2015-2016.
Da sempre incuriosito e ammirato dalle immagini dei grandi maestri della Fotografia, è portato a studiarne con costanza le opere, soprattutto tramite i fotolibri.
L’importanza del loro insegnamento è alla base del sua ricerca, rivolta a indagare ogni possibilità offerta dal linguaggio fotografico.

chiese di un dio minore

«Sul spirà dal Quatricent, tra lis invasions dai Turcs e i mazzalicis ch’e causave ca e là, dibot ogni an, la pestelenzie, a’ nassevin tan’che i foncs, pes campagnis, in cuc dai cuei o dai zucs, e ancje sul òr di qualche vile, ches gleseutis votivis, cence grandis pratesis artistichis, ma dispes deliciosis te lòr armonie e semplicitat, che si cjàtin ancjemò sparnizadis par dut il Friul…»

Josef Marchet

Incastonate come piccole gemme nell’intero territorio regionale, situate per la maggior parte in luoghi isolati, sulla sommità di modesti rilievi o all’interno di piccoli borghi, riposano le minute chiese, eredità di secoli di devozione popolare.
Semplici pietre assemblate con maestria da ignoti carpentieri, architetti in minore. Manufatti che ci regalano qua e là preziosi gioielli ornamentali: i tipici piccoli campanili a vela, ognuno simile ma sempre diverso, dotati talvolta di bifore o trifore; le facciate con scarni porticati sorretti da esili colonne; le finestrelle a vetrata che donano luce diffusa, centellinandola al centro della navata. All’interno è bandito ogni orpello, l’altare è ridotto agli elementi della funzione religiosa, dedicata a uno o più santi.
In qualche fortunato caso la presenza di raffinati affreschi genera al fedele stupore e meraviglia.
Punti di accumulazione del sacro, non si rivolgono al divino, come le grandi cattedrali gotiche, inerpicando lo sguardo verso l’alto, ma sono ancorate al profondo della terra, allo stretto legame dell’uomo con la natura.
Sono le chiesette votive, orgoglio di chi prega in silenzio, non ostenta ma sente il profondo richiamo ancestrale tramandato dalle tradizioni degli avi.

da: giallo napoli

CFF IN ITINERE n. 1

 

Quel che resta dei sogni

Eccoli qui, i fasti, gli sfarzi e gli splendori di dinastie e casati, dominazioni spagnole e francesi, dell’ingordo Napoleone, della casata di Savoia. Lasciti di tempi andati, ma che hanno marcato un segno sulla città di Napoli, sul suo tessuto sociale, religioso, economico e urbanistico.
Dalla grandezza del barocco del seicento fino al rigore pragmatico sabaudo. Sono riuniti in questo Palazzo, chiamato Reale da un viceré, che si augurava una visita del Re di Spagna che non è mai avvenuta. Sono raccolti ed esposti, i simboli del potere.
L’importanza della costruzione si può capire dalla posizione, di fronte alla piazza Plebiscito, dalla stazza imponente e delicata allo stesso tempo, dalle statue dei Grandi di Napoli, disposti sulla facciata principale, a rappresentare la continuità dell’autorità sulla metropoli.
I marmi intarsiati dello Scalone d’Onore, illuminati sapientemente da ampie vetrate, conducono in alto, al piano nobile, dove possiamo salire come facevano gli ospiti di un tempo. Non manca niente: il Teatro di Corte, la Cappella Reale, l’Appartamento di Etichetta, il Salone d’Ercole.
Le sale, molto ampie con alti soffitti decorati con affreschi a soggetto storico e mitologico, sono riempite con oggetti di varie epoche. Si impone subito allo sguardo il trono con baldacchino, simbolo della monarchia.
I dipinti, abbondano, soprattutto ritratti di personaggi di corte, re, principesse e regine. Piccole statue, arazzi, busti in marmo, tappeti e mobili d’epoca arredano gli spazi e ci riportano alle glorie di quei periodi.
Una stratigrafia di gusti, usanze, sensibilità, associate fra loro dal colore dominante che è l’oro. Non opere d’arte di eccezionale fattura, piuttosto pezzi di storia.
Colpiscono i particolari, gli strani abbinamenti che trasudano barocco, le sedie consunte, i tessuti, le carte da parati che dialogano con le tarlate cornici dei quadri, gli specchi opachi, i pesanti tendoni strappati.
Rimane ovunque la presenza onnipotente dei segni del tempo, una suggestione consolatrice che ci fa stare bene, in questi luoghi dove tutto è in grado di raccontare con grazia il passato.

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